L’Accumulo Passivo e il Rischio nei Mercati

Il mondo degli investimenti ha subito una trasformazione radicale negli ultimi vent’anni. I fondi indicizzati, gli ETF (fondi scambiati in borsa) e i PAC (piani di accumulo automatici) hanno rivoluzionato l’accesso ai mercati finanziari, abbattendo i costi e semplificando le scelte. Milioni di risparmiatori investono oggi in modo passivo, senza più analizzare i fondamentali delle aziende.

Ma se tutti comprano gli stessi strumenti, seguendo logiche automatizzate, cosa succede in caso di crisi? Questo articolo analizza il fenomeno con dati, opinioni critiche e scenari pericolosi che potrebbero concretizzarsi tra il 2027 e il 2030.

Non sono un consulente finanziario:

Le informazioni riportate non costituiscono sollecitazione alla collocazione del risparmio personale. L’utilizzo dei dati e delle informazioni contenute come supporto a operazioni d’investimento personale è a completo rischio del lettore.


#1. L’ascesa dell’investimento passivo

L’investimento passivo ha guadagnato terreno come reazione all’inefficienza e ai costi elevati della gestione attiva. Dopo la crisi finanziaria del 2008, molti investitori hanno perso fiducia nei gestori professionisti, spingendosi verso soluzioni meno costose e più prevedibili. I fondi indicizzati, che replicano il comportamento di indici come l’S&P 500, il MSCI World o l’EuroStoxx 50, sono diventati la scelta preferita di chi cerca una crescita di lungo termine senza dover prendere decisioni complesse.

Secondo Morningstar, nel 2024 i fondi passivi hanno superato i 13.000 miliardi di dollari di asset gestiti a livello globale. Negli Stati Uniti, i fondi passivi rappresentano oltre il 55% del totale, mentre in Europa la quota supera il 35%. In Italia, dati Assogestioni mostrano che nel 2023 i PAC in ETF hanno raccolto quasi 7 miliardi di euro, in forte crescita rispetto ai 2 miliardi del 2018.

Il successo è anche culturale: piattaforme come Fineco, Banca Mediolanum e Moneyfarm promuovono attivamente investimenti automatici attraverso interfacce semplici e percorsi guidati. La comunicazione è centrata sulla “comodità” e sulla “tranquillità”, alimentando l’idea che il lungo termine risolva ogni problema. Ma proprio questo automatismo è al centro delle nuove criticità.

Secondo Vincent Deluard, analista macro di StoneX:

L’investimento passivo è diventato una religione laica, in cui milioni di investitori comprano strumenti senza porsi domande.

Il rischio è che la fiducia cieca nella semplicità porti all’autoinganno collettivo.


#2. L’automatismo di ETF e PAC

Gli ETF sono strumenti concepiti per replicare indici di mercato. Sono negoziabili in borsa come le azioni, ma non selezionano attivamente i titoli: acquistano i componenti dell’indice in base alla loro capitalizzazione. I PAC, invece, sono piani di investimento a cadenza regolare, spesso mensile, che permettono a risparmiatori anche piccoli di investire gradualmente. Spesso PAC ed ETF si fondono in un’unica strategia passiva: si comprano quote di ETF ogni mese, in automatico.

I vantaggi sono evidenti: costi ridotti, facilità operativa, diversificazione apparente. Tuttavia, ciò che sembra diversificato in realtà non lo è. Un ETF sull’S&P 500, ad esempio, nel 2023 vedeva oltre il 27% del suo peso concentrato in sette aziende tecnologiche. Questo significa che i PAC in ETF azionari espongono l’investitore a un rischio settoriale spesso sottovalutato.

Anche la replicazione passiva introduce vulnerabilità. Se un titolo entra in un indice, riceverà immediatamente afflussi automatici; se ne esce, sarà venduto in massa. Questo crea un sistema in cui il prezzo dei titoli è sempre più determinato dai flussi di capitale, e sempre meno dalla loro redditività, indebitamento o innovazione.

Mohamed El-Erian, ex CEO di Pimco, ha dichiarato che:

Gli ETF hanno migliorato l’accesso ai mercati, ma hanno anche spostato l’attenzione dalla qualità alla quantità.

Infine, pochi investitori si chiedono cosa accadrebbe in caso di sospensione del meccanismo automatico. La gestione passiva presuppone la liquidità costante dei sottostanti, ma in momenti di stress di mercato questa condizione può venir meno.


#3. Le distorsioni nei mercati

La distorsione principale generata dall’accumulo passivo è la concentrazione. I capitali fluiscono in modo proporzionale alla capitalizzazione, premiando i titoli più grandi a prescindere dal loro valore reale. Questo meccanismo pro-ciclico alimenta un ciclo di crescita autoreferenziale: più un titolo cresce, più capitale riceve, più aumenta di prezzo.

Secondo un’analisi di Bank of America, nel 2024 oltre il 60% del rendimento dell’S&P 500 è stato generato da meno del 10% dei titoli. Questo squilibrio mina la funzione tradizionale dei mercati, cioè quella di scoprire i prezzi attraverso il confronto tra venditori e acquirenti con opinioni divergenti. Se tutti comprano per definizione ciò che “sta dentro un indice”, il mercato smette di valutare e inizia a seguire.

Le bolle silenziose create dal passivo non sono appariscenti come quelle del passato. Non ci sono valutazioni stravaganti né aziende sconosciute che esplodono senza motivo. Il pericolo è più sottile: un’apparente stabilità sostenuta da afflussi automatici e non da valutazioni fondamentali.

Secondo Michael Burry, noto per aver previsto la crisi dei mutui subprime nel 2008:

L’investimento passivo è una bolla più grande di quella del 2007, perché nessuno sa dove si trova il rischio reale.

Per fare un paragone che rende benissimo l’idea, anche se non propriamente coerente, è sufficiente pensare al meccanismo di funzionamento del superenalotto: il montepremi sale sempre perché la gente gioca in continuazione le schedine, quasi in modo automatico.


#4. Rischi e scenari di crisi 2027–2030

Se l’accumulo passivo continua a crescere al ritmo attuale, entro il 2030 la maggioranza del capitale nei mercati sviluppati sarà gestita in modo automatizzato. Questo scenario comporta rischi evidenti: omogeneità di comportamento, liquidità apparente, eccessiva leva indiretta. Un piccolo evento esogeno potrebbe innescare una reazione sproporzionata.

Uno scenario possibile riguarda l’aumento repentino dei tassi d’interesse. Se i titoli obbligazionari tornano a rendere il 5–6%, molti investitori potrebbero abbandonare gli ETF azionari per tornare su strumenti più sicuri. Una discesa di flussi in entrata provocherebbe vendite, con cali violenti nei prezzi. Un altro scenario è una crisi geopolitica o ambientale che renda alcuni settori (tecnologici, energetici, bancari) improvvisamente meno attrattivi, generando vendite automatiche concentrate.

La crisi potrebbe essere innescata anche da un evento politico o fiscale. L’introduzione di imposte sui capitali, sulle transazioni o sugli strumenti di risparmio automatico, ad esempio in Europa, potrebbe destabilizzare i PAC. O ancora, una revisione del ruolo delle società che forniscono gli indici potrebbe rivelare falle nella costruzione degli ETF stessi.

Secondo Larry Fink, CEO di BlackRock (uno dei maggiori gestori di ETF al mondo):

La vera vulnerabilità del sistema è la convinzione che tutto sia sotto controllo, mentre nessuno guida più l’auto.

Il rischio sistemico non è più generato da avidità irrazionale, ma da razionalità meccanica portata all’eccesso.


#5. Opinioni e possibili soluzioni

Il dibattito nel mondo finanziario è acceso. Alcuni, come Jack Bogle (fondatore di Vanguard, recentemente scomparso), hanno avvertito che:

Quando i fondi indicizzati avranno il 75% del mercato, nessuno sarà più responsabile del capitalismo.

Altri, come Ray Dalio, fondatore di Bridgewater, sostengono che l’investimento passivo è sostenibile solo se accompagnato da diversificazione vera e da consapevolezza.

Tra le soluzioni proposte troviamo:

  • Limitazione del peso massimo che un singolo titolo può avere in un indice replicato,
  • Adozione di ETF basati su criteri fondamentali (utile per azione, bilancio, dividendi),
  • Maggiore trasparenza sulle regole di costruzione degli indici,
  • Creazione di sistemi automatici che rallentino le vendite in situazioni di stress (circuit breaker),
  • Educazione finanziaria come strumento di prevenzione.

Anche la regolamentazione europea si sta muovendo: nel 2024, l’ESMA (autorità europea dei mercati) ha avviato un’indagine sul funzionamento degli ETF settoriali e obbligazionari. Il dibattito è ancora aperto, ma l’urgenza è evidente.

Il mercato non può essere lasciato interamente alla logica automatica. La crisi che potrebbe emergere tra il 2027 e il 2030 non sarebbe il risultato di avidità o truffe, ma di una cecità collettiva nascosta dietro l’efficienza. Per evitarla, bisogna tornare a guardare dentro le strutture.

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