I Danni di Chiusure e Vaccini CV19

Gli ultimi anni hanno visto l’umanità affrontare misure di gestione sanitaria che hanno sollevato dubbi e divisioni. Vaccini sperimentali, chiusure ingiustificate e discriminazioni sociali sono stati i protagonisti di scelte politiche che, a distanza di tempo, richiedono una riflessione approfondita.

Non sono un complottista:

Ci tengo a fare questa precisazione per due motivi. Il primo è che non sono contrario al vaccino di per sé per principio, ma sicuramente sono contrario all’introduzione nel mercato di farmaci non adeguatamente studiati, e questo è uno di quei casi. Il secondo è che spesso i “no-vax” vengono mischiati ai “filo-Putin” o agli “anti-Israele”, bene questa è una semplificazione e io onestamente mi sento ben escluso da queste categorie.


#1. Rinchiudere in casa senza motivo

L’imposizione di chiusure rigide (lockdown) in molti paesi, senza una chiara giustificazione scientifica, ha provocato danni psicologici, economici e sociali. Le persone sono state costrette a rimanere in casa per mesi, privandole della libertà personale e della possibilità di lavorare. Questo isolamento ha portato a un aumento dei disturbi mentali, come depressione e ansia, e ha avuto un impatto devastante su bambini e adolescenti, privati dell’educazione in presenza. In molti casi, la mancanza di attività fisica e di interazioni sociali ha causato problemi di salute fisica e un senso di alienazione.

A livello economico, milioni di lavoratori hanno perso il proprio impiego, in particolare nei settori del turismo, della ristorazione e dello spettacolo, che dipendono fortemente dalle attività sociali. Le piccole imprese sono state colpite duramente, molte delle quali non sono mai riuscite a riaprire. Tutto questo è avvenuto in un contesto in cui i dati sulla trasmissione del virus in ambienti aperti o tra persone giovani non giustificavano tali restrizioni. Inoltre, la gestione confusa delle misure ha generato ulteriore sfiducia nei confronti delle autorità, aggravando un clima già teso.

Inoltre, nella prima fase della “pandemia”””, ai malati o sospetti malati di COVID-19 veniva loro applicato il cosiddetto protocollo “tachipirina e vigile attesa” che in molti casi si è rivelato inadattato se non dannoso. I problemi, però, non finivano qua. Infatti, alcuni di questi pazienti che poi venivano ricoverati in terapia intensiva, venivano sottoposti a intubazione che aggravava le condizioni e in tanti casi si sospetta che “bruciasse” i polmoni con l’eccesso di ossigeno. Insomma i danni venivano curati con ulteriori danni.


#2. Con meno restrizioni, meno danni

Uno dei dati più sconcertanti riguarda i paesi che hanno scelto di non adottare restrizioni severe, come la Svezia. Contrariamente alle previsioni catastrofiche, questi paesi hanno registrato tassi di mortalità complessivamente inferiori rispetto a quelli con chiusure rigide.

La Svezia, per esempio, ha puntato su misure volontarie e sulla responsabilità individuale, mantenendo aperte scuole, ristoranti e negozi. Questo approccio ha permesso di evitare i danni psicologici ed economici causati dalle chiusure forzate, preservando al contempo la capacità del sistema sanitario di gestire i casi gravi. Studi successivi hanno evidenziato che il numero di morti per milione di abitanti in Svezia era comparabile, se non inferiore, a quello di molti paesi europei che hanno adottato misure più restrittive.

Un altro caso interessante è rappresentato da alcuni stati americani, come la Florida, che hanno scelto di limitare le chiusure e di proteggere le fasce più vulnerabili della popolazione senza bloccare completamente l’economia. Questo ha permesso di ridurre gli effetti negativi sulle comunità locali, senza compromettere significativamente i risultati sanitari. Questi esempi dimostrano che un approccio bilanciato e basato su evidenze scientifiche può essere più efficace di misure estreme e indiscriminate.


#3. I vaccini erano sperimentali

I vaccini introdotti durante la pandemia sono stati sviluppati in tempi record e autorizzati per l’uso di emergenza senza i consueti tempi di sperimentazione clinica. Questo ha sollevato legittime preoccupazioni sulla loro sicurezza a lungo termine.

I dati iniziali forniti dalle aziende farmaceutiche erano limitati, e molti esperti hanno sottolineato che il periodo di monitoraggio post-vaccinazione è stato insufficiente per valutare possibili effetti collaterali a lungo termine. Nonostante ciò, i governi di tutto il mondo hanno promosso campagne vaccinali di massa, spesso accompagnate da incentivi o pressioni sociali, creando un clima di divisione e sfiducia.

Un aspetto particolarmente critico è stato l’immunità legale garantita ai produttori di vaccini, che li ha sollevati da ogni responsabilità per eventuali danni causati dai loro prodotti. Questo ha alimentato il sospetto che la priorità non fosse la salute pubblica, ma piuttosto il profitto economico. Inoltre, molte segnalazioni di effetti collaterali gravi, come miocarditi, trombosi e reazioni allergiche, sono state inizialmente ignorate o minimizzate, lasciando le persone colpite senza supporto adeguato. Questo contesto ha contribuito a creare una crisi di fiducia che perdura ancora oggi.

Inoltre, il numero di dosi che avrebbe dovuto garantire l’immunità dal virus aumentava in continuazione. Si è passati dallo standard socialmente accettato di 2 dosi a quello di 3, piazzandogli sopra l’etichetta di “booster” al fine di renderlo più attrattivo. Inutile dirlo, in certi casi le dosi sono diventate anche 4 o 5.

Infine, cosa assai curiosa, la narrativa che promuoveva l’efficacia dei vaccini si è nel tempo modificata man mano che essa falliva nella precedente versione:

  1. “con il vaccino eviti di ammalarti
  2. “con il vaccino puoi ammalarti, ma eviti la forma grave della malattia”
  3. “con il vaccino puoi ammalarti, ma eviti la terapia intensiva
  4. “con il vaccino puoi finire in terapia intensiva, ma eviti di morire

Dati statistici hanno poi dimostrato che i vaccini, soprattutto a partire dalla terza dose, aumentavano le probabilità di essere ricoverati in terapia intensiva. In poche parole si è evidenziata la loro efficacia negativa.


#4. La stampa che tace sui danni

Un altro aspetto inquietante è stato il silenzio mediatico sui decessi e gli effetti collaterali associati ai vaccini. Nonostante migliaia di testimonianze e segnalazioni, i grandi media hanno minimizzato o ignorato il fenomeno, contribuendo a creare una narrazione univoca e incontestabile.

Dopo lo scandalo, e la preoccupazione generale, in seguito alla morte per emorragia cerebrale della giovane Camilla Canepa a pochi giorni dalla sottoministrazione del vaccino, i media italiani hanno categoricamente smesso di riportare qualsiasi altra morte sospetta dovuta alle iniezioni.

Le poche testate che hanno tentato di sollevare dubbi sono state spesso accusate di diffondere disinformazione o complottismo, creando un clima di censura e autocensura. Questo atteggiamento ha impedito un dibattito pubblico aperto e trasparente, necessario per valutare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini in modo critico. La mancanza di informazioni ha anche reso difficile per i cittadini prendere decisioni informate sulla propria salute.

Parallelamente, le piattaforme social hanno adottato politiche di moderazione dei contenuti che hanno spesso penalizzato chiunque mettesse in discussione la narrativa ufficiale. Questo ha contribuito a polarizzare ulteriormente l’opinione pubblica, rendendo quasi impossibile un confronto costruttivo e basato sui fatti.

Se però sulle misure restrittive insensate e sui danni dei vaccini si taceva, altrettanto non accadeva quando si trattatava di iniettare paura nella popolazione. Lo scandalo delle “bare di Bergamo” ha segnato uno dei momenti più controversi della gestione mediatica della pandemia in Italia.

Le immagini dei camion dell’esercito che trasportavano bare furono trasmesse ovunque, alimentando un clima di terrore collettivo. Tuttavia successivamente, emerse che quei camion trasportavano un numero limitato di salme, spesso una per veicolo, derivanti da varie cause di decesso e accumulate per essere poi trasportate tutte in un solo giorno.

L’obiettivo sembrava essere quello di installare paura nella popolazione, spingendola a conformarsi a misure drastiche senza spazio per il dibattito. Questo episodio solleva dubbi sul ruolo dell’informazione durante crisi sanitarie, spingendo a riflettere sull’uso di immagini potenti come strumento di controllo sociale.


#5. I danni della vigilanza passiva

In Italia, durante la gestione della pandemia, si è osservata una preoccupante tendenza verso una vigilanza passiva, caratterizzata da un atteggiamento di inazione o intervento tardivo da parte delle istituzioni di controllo e dei sistemi sanitari. Questo approccio ha avuto conseguenze significative, sia sul piano sanitario che sociale.

In molti casi, la sorveglianza attiva, fondamentale per prevenire e affrontare tempestivamente le problematiche emergenti, è stata sostituita da una gestione reattiva e spesso insufficiente. Ad esempio, l’incapacità di monitorare adeguatamente gli effetti collaterali dei vaccini, come segnalato da numerosi cittadini e medici, ha lasciato molte questioni irrisolte. Le autorità sanitarie, invece di promuovere studi indipendenti, hanno spesso minimizzato le segnalazioni o attribuito le reazioni avverse a cause naturali, alimentando la sfiducia generale.

Questa passività si è estesa anche ad altri ambiti, come il monitoraggio degli effetti delle misure restrittive. L’impatto psicologico ed economico delle chiusure è stato ampiamente sottovalutato, e molte categorie di cittadini, come i lavoratori autonomi e i giovani, sono state lasciate senza un adeguato supporto. La mancanza di analisi approfondite e di una comunicazione trasparente ha generato un senso di abbandono tra la popolazione.

In definitiva, la vigilanza passiva ha rappresentato uno dei maggiori fallimenti nella gestione della crisi, evidenziando l’urgenza di un sistema più proattivo, trasparente e orientato alla prevenzione, capace di rispondere in modo efficace alle future emergenze.


#6. Le segnalazioni al VAERS

Negli Stati Uniti, il VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System) ha registrato un numero senza precedenti di segnalazioni di eventi avversi correlati ai vaccini COVID-19. Questo sistema di monitoraggio, concepito per identificare rapidamente segnali di allarme relativi alla sicurezza dei vaccini, ha mostrato un aumento impressionante di reazioni avverse, comprese miocarditi, trombosi e decessi improvvisi.

Molti esperti indipendenti hanno sottolineato che questi dati non possono essere ignorati e richiedono indagini approfondite. Tuttavia, le autorità sanitarie hanno spesso liquidato queste segnalazioni come coincidenze o eventi non direttamente correlati alla vaccinazione, generando un clima di sfiducia tra la popolazione. L’assenza di trasparenza nei processi di analisi e il mancato accesso ai dati completi hanno contribuito ad alimentare teorie del complotto e paure diffuse.

Parallelamente, la comunicazione istituzionale si è concentrata esclusivamente sui benefici dei vaccini, trascurando di informare adeguatamente il pubblico sui rischi potenziali. Questo squilibrio ha impedito un dialogo aperto e informato, lasciando molte persone con l’impressione di non essere state ascoltate. In definitiva, il caso del VAERS rappresenta un esempio emblematico di come una gestione inadeguata delle informazioni possa danneggiare la fiducia nelle istituzioni.


#7. La discriminazione dei “no-vax”

In Italia, l’introduzione del certificato verde (Green Pass) ha creato una profonda divisione sociale, portando a una vera e propria discriminazione nei confronti dei non vaccinati. Questo certificato, necessario per accedere a luoghi pubblici, trasporti e persino luoghi di lavoro, ha di fatto escluso una parte significativa della popolazione dalla vita quotidiana, inducendo molte persone a vaccinarsi contro la propria volontà per evitare conseguenze economiche o sociali.

Questa misura, giustificata dalle autorità come necessaria per contenere la pandemia, ha sollevato numerose critiche, sia sul piano etico che su quello legale. Molti esperti hanno sottolineato che il Green Pass non garantiva una reale riduzione della trasmissione del virus, considerando che anche i vaccinati potevano contrarre e diffondere il COVID-19. Nonostante ciò, i non vaccinati sono stati etichettati come irresponsabili e pericolosi per la società, alimentando un clima di odio e intolleranza.

Questo trattamento discriminatorio ha avuto conseguenze gravi, non solo sul piano personale, ma anche sul tessuto sociale del paese. Famiglie, amicizie e comunità sono state divise, con una polarizzazione delle opinioni che ha reso difficile il dialogo. Inoltre, le pressioni esercitate sui lavoratori, costretti a sottoporsi al vaccino per mantenere il proprio impiego, hanno sollevato interrogativi sulla legittimità di tali provvedimenti in una democrazia.

La discriminazione perpetrata attraverso i mezzi stampa e l’alienificazione dei “no-vax” hanno portato alcune persone più fragili a cadere nei tentacoli di associazioni para-settarie, spesso messe indirettamente (ma consapevolmente) in vetrina dai cosiddetti siti o canali di “controinformazione”. Questi ultimi hanno saputo approfittare del vuoto lasciato dalle istituzioni per fare leva sulle debolezze delle persone psicologicamente più vulnerabili allo scopo di ingrossare le proprie file e, ovviamente, le proprie tasche.


#8. Morti improvvise e poche autopsie

Uno degli aspetti più inquietanti emersi negli ultimi anni è l’aumento delle morti improvvise, che spesso colpiscono persone giovani e apparentemente sane. Nonostante la gravità del fenomeno, in molti casi le autorità non hanno disposto autopsie per determinare le cause effettive dei decessi, lasciando le famiglie senza risposte e alimentando sospetti sulla possibile correlazione con i vaccini.

Numerosi medici e scienziati hanno chiesto un monitoraggio più rigoroso e l’avvio di studi indipendenti per analizzare questi eventi. Tuttavia, le richieste sono state spesso ignorate o ostacolate da procedure burocratiche. Questo atteggiamento ha generato un senso di impotenza tra la popolazione, rafforzando la percezione di una mancanza di trasparenza da parte delle istituzioni.

Le testimonianze di familiari e amici delle vittime evidenziano un quadro preoccupante, in cui la mancata esecuzione di autopsie rappresenta un ostacolo alla comprensione di quanto accaduto. In molti casi, i decessi sono stati attribuiti a cause naturali senza una verifica adeguata, sollevando interrogativi sul rigore delle indagini mediche e sulla volontà di affrontare la questione in modo aperto e scientifico.


#9. Più morti dopo le iniezioni

Secondo alcuni studi indipendenti, l’aumento della mortalità in determinate fasce di popolazione è stato osservato in seguito alla somministrazione dei vaccini COVID-19. In particolare, sono stati registrati casi di decessi in persone giovani e precedentemente sane, che non presentavano condizioni di rischio preesistenti. Questi dati, benché parziali, richiedono un’analisi approfondita per comprendere le possibili correlazioni e identificare eventuali fattori di rischio.

Nonostante la gravità del problema, le autorità sanitarie hanno spesso minimizzato la questione, sottolineando che i benefici dei vaccini superano i rischi. Tuttavia, questa posizione non ha convinto una parte crescente dell’opinione pubblica, che chiede maggiore trasparenza e responsabilità da parte di chi ha promosso le campagne vaccinali.

Il dibattito su questo tema è diventato particolarmente acceso, con accuse reciproche tra sostenitori e oppositori dei vaccini. Ciò ha contribuito a creare un clima di polarizzazione che rende difficile affrontare la questione in modo equilibrato e basato sui dati. Per superare queste divisioni, è fondamentale promuovere studi indipendenti e garantire che tutte le informazioni rilevanti siano messe a disposizione del pubblico in modo chiaro e accessibile.

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